Non solo per un motivo

di Cecco Angiolieri

Sulla “vexata quaestio” degli ultras e della loro mentalità, che ha fatto tanti danni al calcio, almeno quanto quelli che Moggi, Sky e Mediaset messi insieme, vi sarebbe stato poco, pochissimo da dire, e tanto, ma tanto di più, da riflettere: è invece stato detto molto, ma molto di più sia dell’utile che del necessario, e forse, per compensazione, poco, pochissimo è stato oggetto di una seria riflessione.

Per sgombrare il campo da ogni equivoco, e per non ripetere concetti che hanno (o almeno dovrebbero avere) tutti la noiosità che solo l’ovvio può avere, non intendo parlare della mentalità ultras in chiave politica e di necessario contrasto della violenza, del razzismo (in senso specifico e lato), della sopraffazione eretti a valore coagulante del branco.

Nè voglio commentare (sostanzialmente perchè sarebbe del tutto inutile) le farneticamenti argomentazioni relative alla morte del povero Raciti, che oscillano tra l’ipotesi del suicidio (si sta cercando il biglietto contenente le spiegazioni del tragico gesto e vedrete che prima o poi verrà fuori) e l’ipotesi dello sparo “amico” di un lacrimogeno ( come sicuramente l’autopsia dimostrerà) , per passare (che bel baricentro...) all’autorevolissima ipotesi che l’ultras omicida sarebbe in realtà un poliziotto infiltrato tra gli ultras.

Non voglio neppure commentare le commoventi manifestazioni di affetto tributate a polizia e carabinieri da quei bravissimi ragazzoni appollaiati sulle ringhiere delle curve, con la sciarpa sulla faccia per non patire il freddo, innocenti e con la coscienza pulita e brillante come le lame dei loro coltelli.

E neppure voglio avallare chi sostiene che una la violenza non esisteva: nel calcio la violenza è purtroppo sempre esistita, bastava non lasciare che si organizzasse...

Non è, comunque ed in ogni modo, solo questo il motivo (anche se come motivo sarebbe più che sufficiente e convincente) per cui in generale tutti i druidi, ed in particolare io, diciamo no alla mentalità ultras.

Perchè se il tifo organizzato in generale contiene già in sè l’insanabile contraddizione tra una passione, che per sua natura ed essenza è spontanea, e la sua organizzazione, il tifo degli ultras, sembra un tifo-pretesto di una cultura del “branco” che oltre da essere da sempre un terribile meccanismo per incubare amorevolmente ogni sorta di nefandezza, rende la passione completamente finta, come di plastica, sino al punto (nessuno lo ha mai notato ?) che tutte le fazioni di ultras finiscono per cantare canti, quasi assolutamente identici, come se francesi e i tedeschi si fossero gettati in battaglia cantando tutti quanti la marsigliese o se l’esercito Inglese avesse combattuto quello scozzese suonando entrambi lo stesso inno con le cornamuse...

Invero gli ultras non hanno assolutamente la cultura e la tradizione della squadra che rappresentano, ne hanno una loro, tutta particolare, che costituisce lo specifico dell’ultras: in questo senso vi è certamente molta più differenza tra un normale tifoso di Trieste e uno di Torino, o, che so di Firenze o di Palermo che non tra i rispettivi ultras, che hanno identica mentalità, identici odii (contro le forze dell’ordine), persino identici slogan e tutt’alpiù - peraltro con moltissime ambiguità - si distinguono tra ultras di destra e ultras di sinistra.

Ricordo con emozione e commozione quando la mia manina piccola piccola, come solo può essere quella di uno scricciolo di cinque anni può esserlo, stringeva quella piena di affetto e tenerezza di un nonno, che trasmetteva al suo adorato nipotino quella particolarissima mistura di tradizione e passione, che è molto, molto di più di un tifo per una squadra, e somiglia ad una sorta di modalità dell’esistenza.

Ora vorrei chiedervi quanti nonni che stringono la mano ai nipotini riuscite vedere oggi in quella che era stata la grande e gloriosa Gradinata Nord, e che oggi non è cambiata solo nella consistenza materiale, ma, soprattutto, di quella immateriale: non sono cambiati solo i gradoni, oggi rivestiti con seggiolini di plastica,ma sono cambiati soprattutto, purtroppo, le persone che sui gradoni sedevano.

Quando andavo allo stadio con mio nonno, non c’erano fumogeni, non c’erano botti che sembrano (solo sembrano?) bombe carta, non c’erano facce, che, guardandole bene, ti chiedi come possano esistere i negazionisti della teoria di Darwin, e – incredibile a dirsi – non c’erano neppure, per dirla alla Iannacci , quelli che ... “con una mano aveva fermato la Nord”.

Tutte cose, che, sinceramente, non solo non mi mancavano affatto, ma, soprattutto, non ci fossero state non sarebbero mancate nè al Genoa nè alla sua storia, che sarebbe stata quantomeno con periodi meno oscuri, nè a tutti noi, che i tifosi li facciamo per passione e non per professione.

Genoa, 13 febbraio 2007                        

  Cecco Angiolieri

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