I Druidi proseguono nella loro geniale rubrica di anteprime al contrario.

Parlare del Genoa, tra tanti aspetti sgradevoli, ne ha infatti anche uno confortante come una vecchia pantofola (e fastidioso come un pervicace callo): quasi nulla cambia e quindi ciò che si diceva (e ciò che accadeva) uno, cinque, dieci, cinquanta anni fa, è sempre attuale.

L'importante è essersi dimenticati del passato, specialità di grande successo a queste latitudini, e tutto va à sa place.

Dopo la prima puntata, allora, dedicata a un primo tòpos  del Genoa, il fallimento del campionato, eccoci a parlare di un'altra passione di questa strana tribù: la contestazione, vera palestra di ardore virile per generazioni di testosteronici grifoni. 

Quanto precede è un testo pensato e scritto la prima volta negli anni '80, ma è ancora attuale. Basta un piccolo risvolto e una spuntatina e si porta magnificamente ancora oggi.  

 

 

Indubbiamente richiedere razionalità ai tifosi di una squadra di calcio sarebbe eccessivo (e, del resto, anche i Druidi sono una prova del contrario). Forse meno irrealistico sarebbe chiedere un fondo di coerenza.

Mi accontenterei anche di meno, che almeno si conservasse il senso del ridicolo (che è cosa assai diversa e meno nobile del comico) e della vergogna.

I Genoani però, come quella marca di orologi, non conoscono limiti.

Non è stato stato evidentemente sufficiente, per limitarsi agli ultimi anni, aver attraversato la Fede nel fax di Sogliano, l'Adorazione di un Granduca, uno Sceicco e un Cane Ereditiere, né aver assecondato uno scandalo combine, andando dietro a tutte le più strampalate allucinazioni di complotti, anche contro l'evidenza.

Si è anche riusciti a mugugnare, questionare e striscionare contro una squadra prima in classifica, fino forse a favorire, non diciamo  provocare, spaccature nella struttura del Genoa Cfc che, certo, una società ben gestita avrebbe evitato, ma che la storia avrebbe dovuto far presagire come pericolo imminente. Se non altro la furbizia di evitare di fornire un alibi al furbacchione di turno avrebbe dovuto consigliare un atteggiamento diverso, a chi avesse a cuore il risultato sportivo e l'immagine del genoa e dei genoani.

Ma dove non arriva la decenza, per i Genoani non arriva neppure l'intelligenza.

Può darsi che  sia una callida strategia, studiata a tavolino, per pilotare abilmente le sorti del Genoa verso il Sole dell'Avvenire, ma - eufemisticamente - finora non pare (oppure l'approdo era veramente lontano e sarò lietissimo di fare una pubblica ammenda).

A questo partito, che potremmo simpaticamente chiamare i Soloni Rossoblu - bisogna ammetterlo - non fanno sufficiente freno neppure quelli dello schieramento opposto, visto che sono usualmente impegnati ad attribuire la colpa delle disfatte sportive del Genoa ai giornalisti, alla sfiga, a una Carboneria di benzinai, al Papa Nero, alla Bestia dell'Apocalisse e chissà mai che altro.

Io invece credo che, fino a prova contraria, il futuro si preveda più affidabilmente studiando il passato e che nessun viaggio porti più lontano che non quello dentro sé stessi.

Penso, allora, che se il Genoa (e Genova) non vince praticamente nulla da 80 anni (come città direi da secoli) la causa sia nell'unica cosa che non è cambiata.

E l'unica cosa che non è cambiata sono i Genoani (e i genovesi).

 

Purtroppo chi non sa riconoscere gli errori del passato è condannato a riviverli.

 

Ad esempio, invece che evocare complotti blucerchiati o sognare provocatoriamente di scippare il Direttore Sportivo dei cugini, in una fantasia degna di Malcom Mc Dowell in Arancia Meccanica, (e qui riprendo il filo della dialettica con il mio abituale avversario su queste stesse colonne Liaigh) molto più costruttivo e, diciamo così, educativo sarebbe, a mio parere, fare un semplice confronto tra quello che è successo sul lato rossoblu e su quello blucerchiato, anche solo negli ultimi tre mesi.

Le vicende della squadra di Novellino, sia quelle tecniche, sia quelle di spogliatoio, non sono state, ragionevolmente, molto diverse da quelle del Genoa. Anche lì c'è stata una evidente frattura e una conseguente crisi sportiva.

Si confrontino, però, le reazioni dei rispettivi ambienti.

Si confrontino, poi, le collocazioni delle due squadre  e, soprattutto, si ripeta il confronto tra qualche mese (e a piacere qualche anno addietro e in avanti nel tempo), e se ne traggano le dovute conclusioni.

Per me hanno ragione, insomma, quelli che dicono che i  presidenti e i giocatori passano e solo i tifosi restano. Ma per me c'è una chiosa ulteriore, che pochi hanno avuto il coraggio o la capacità di dire: che i tifosi genoani restino (sempre uguali) è la causa dei rovesci sportivi del glorioso (?) sodalizio rossoblu.

 

Che fare, allora ?

 

Le possibilità, a ben vedere, sono due.

 

La prima è non fare nulla se non, per una forma di dignità, sforzarsi di capire come stanno le cose. E serenamente ammettere che esiste effettivamente una grossa differenza tra Sampdoria (o Chievo, Juventus, Milan, Palermo, ecc.), da un lato, e Genoa (e probabilmente altre squadre, che però non conosco), dall'altro: le prime sono squadre di calcio amate e sostenute dai rispettivi tifosi per lo spettacolo che offrono, la gioia che regalano, i valori che esprimono, simboleggiano o simulano. Il Genoa, invece, è altro: la proiezione personale dei suoi tifosi: la vetrina del loro esibizionismo, della loro voglia di essere protagonisti e di essere squassati dalle emozioni più forti (e, possibilmente, meno razionali). Il fatto che ciò sia, nello stesso tempo, il più divertente vaudeville  del mondo per cugini e un fenomeno incomprensibile per gli spettatori neutrali è allora solo un accidente inevitabile. Tifare Genoa è, lo ha già detto Liaigh, come darsi al bunjee jumping. 

Se, però, è così bisogna percorrere il ragionamento fino in fondo: anche i rovesci sportivi, i presidenti, capitifosi, promessi acquirenti da soli o in cordata, tutti invariabilmente arruffapopoli e pasticcioni, non sono disgrazie piovute dal cielo, ma sono il costo necessario della soddisfazione di essere tutti protagonisti (tutti insieme, disordinatamente, senza coordinamento né programma, né cervello, né umiltà). Anzi, tutto questo è un po' come le cadute del bunjee jumper: che divertimento ci sarebbe, senza ? Ma allora perché stupirsi o, peggio, lamentarsi delle sconfitte, dei presidenti, capitifosi, ecc. ?

Se si sceglie questa linea lo slogan è: basta frignare, salviamo almeno la faccia.

 

La seconda possibilità sarebbe mirare a costruire qualche successo sportivo. Temo però che il primo necessario passo verso questo risultato sarebbe deportare tutti i genoani, organizzati e cani sciolti, in un centro di accoglienza non più prossimo a Genova del Kamchatka, per la durata di almeno cinque campionati, ovvero, fuor di celia, fare robuste e collettive iniezioni di intelligenza, autoironia, buon senso, freddezza e umiltà.

 

Se, come è certo, continuerà a prevalere la prima linea, mi piacerebbe almeno, se non altro per coerenza e trasparenza, che i genoani festeggiassero la raggiunta consapevolezza della loro follia autodistruttiva rilanciando una mia vecchia idea: fondino, finalmente, il club che meglio riassume la genoanità e che ancora mi pare manchi: Il Genoa Club Vattene !

 

 

Genoa, 28 aprile 2006 (ma anche mesi, anni, decenni prima e chissà quante altre volte ancora)

 

 Principe Myskin