Un cuore matto che ti segue ancora / e giorno e notte pensa solo a te

 

   Un cuore matto che ti vuole bene / e ti perdona tutto quel che fai  

 

   (Ambrosino - Savio)  

Il fischio finale, il petto sembra afflosciarsi e la schiena piegarsi, insieme al corpo che finalmente barcolla, come svuotato da quella tensione che, unica, sembrava sostenerlo

Qualcuno emette un urlo, altri semplicemente si accasciano, qualcun altro scoppia in lacrime: scene già viste, decine e decine di volte.

Poi un brusio e un movimento dietro, l’ho avvertito ancor prima di vederlo, era a non più di sei o sette metri da me, ho visto prima i suoi capelli bianchi, poi il suo viso, vecchio e rugoso, grigio come il cemento della gradinata, sotto i seggiolini colorati, ho visto l’affanno dei militi della croce rossa mentre gli praticavano il massaggio cardiaco, ho visto il febbrile lavoro del medico per evitare che l’arresto cardiocircolatorio divenisse definitivo ed irreversibile.

Sembrava che ancora una volta il Grifo avesse reclamato una vita, avesse preso il cuore, e questa volta, come molte altre volte, non in senso metaforico.

Ho visto le facce di quelli che mi stavano intorno, attonite, ma non stupite e dall’espressioni molti, come me, si domandavano quando al posto di quel volto grigio ci sarebbe stato il loro.

In altri tempi, dico la verità, avrei classificato la cosa come un fenomeno collaterale a quello che chiamo il “fenomeno Genoa” che - per davvero, me ne convinco ogni giorno con più forza e convinzione - con il calcio, in fondo, non ha poi molto a che fare.

Però è strano, mi dico, o forse semplicemente profondamente umano, ma comunque sempre straordinariamente stupefacente, che il pianeta calcio abbia la faccia di Moggi, Giraudo Galliani e Lippi, ma abbia anche la faccia drammatica, ma mille e mille volte più vera e profonda, di quel volto terreo e stravolto.

Ma la faccia del calcio è anche quella di quel bambino di pochi posti vicino a me, che alla fine della partita si è messo a piangere per l’emozione e la gioia, e dei molti che, io credo, alla fine della partita hanno benedetto il fatto di avere calati sugli occhi degli occhiali da sole, che li hanno difesi non solo dai raggi UV.

Perché a furia di vedere certe facce, te ne dimentichi di mille e mille altre, che nello sguardo e nei tratti hanno solo passione vera.

Personalmente non so se riuscirò davvero a credere (o meglio a illudermi di credere) ancora nel calcio, anche se qualcuno malignamente mi potrebbe chiedere se è poi davvero così importante che un' illusione sia “genuina” o “artificiale”, atteso che, in fondo, sempre di illusione si tratta

E a maggior ragione non so se il giocattolo pedatorio, persa ormai ogni parvenza di verosimiglianza, continuerà ancora a costituire il sogno della domenica per tante persone, oppure sarà nel giro di qualche anno rimpiazzato da qualche altro svago.

Comunque sia, questo pomeriggio io credo nessun Genoano si sia neppure posto il problema: come se la cosa neppure lo sfiorasse.

E del resto ho appreso pochi minuti fa che quel volto, pur solcato di rughe, tornerà a sorridere con la soddisfazione di chi ha sbattuto la porta in faccia alla morte.

Ho anche saputo che il vecchietto, appena uscito dal coma, per prima cosa si è rivolto ad uno dei soccorritori chiedendo: ”Cosa ha fatto, poi, il Genoa?”

Non sorridete, che sono cose serie.

  Genoa, 4 Giugno 2006                         Cecco Angiolieri


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