Uno dei giuristi più geniali ed innovativi del primo secolo d.C., Giuvenzio Celso, ha definito il diritto come ars boni et aequi: il diritto nella sua dimensione dinamica e aperta a continue innovazioni si identifica con la tecnica di perseguire il "bonum", cioè un sentire orientato eticamente e l’ "aequum", cioè ciò che è concretamente giusto. L’ "aequitas" è uno strumento non codificato, ma intuitivo di cui dispone il giurista romano, è quasi un modo di sentire il diritto e di tradurre i termini astratti e generali della regola di diritto (formatasi per legge o per consuetudine) in una esigenza concreta di giustizia. Una giustizia intesa come applicazione meccanica della norma astratta, che va dal generale al particolare, si può tradurre nell’esperienza concreta in una ingiustizia: in un “non dare a ciascuno il suo”. Il giurista si trova allora di fronte al paradosso di avere rispettato una regola, ma di non avere dato concretamente giustizia.                                                                                                      GIANNI SANTUCCI

A dire il vero non è ch abbia molto da dire sull’ennesima stangata, perché, in fondo, e neppure poi troppo in fondo, i concetti sono sempre i medesimi e le ripetizioni sono sempre noiose, anche per le più belle cose, figuriamoci se riguardano, come nel caso Genoa, le più brutte e squallide.

Certo, normalmente ciò che più fa male nell’ingiustizia è l’iniquità stessa, è la mancata correlazione tra accusa e realtà, oppure la mancanza di proporzione tra pena e offesa, ma nel caso del Genoa è diverso, molto diverso, perché nel fondo del tutto c’è una amarissima verità, forse conosciuta da tempo, per alcuni da molto tempo, ma che per tutti si sta trasformando in consapevolezza.

Perché, se ci pensate bene, nonostante le apparenze sarebbe facile, molto più facile, riuscire a pensare che tutta questa abnorme e a tratti paradossale vicenda, è meno anomala di quanto sembri e che, in fondo, magari il sistema ha un po’ esagerato, ma, nella sostanza, ci ha punito giustamente, o anche ingiustamente, magari per eccessiva severità, ma sempre nell’ambito di un concetto di giustizia che, sportiva o no, per il solo fatto di essere umana e quindi fallibile ha sempre una parte di iniquità, che è necessario accettare perché fisiologica al concetto stesso di Giustizia.

Se uno riesce a mantenersi in quell’ambito, salva se stesso e il sistema: perché ha la ragionevole speranza che, magari tra qualche anno, buttate alla spalle queste tristi esperienze, e buttato alle ortiche Preziosi, le cose potranno cambiare per il vecchio Grifo, che, eliminati questi “handicap”, potrà tornare a volare, magari con un nuovo Presidente, anche meno danaroso di questo, ma più presentabile, e soprattutto, con un ferreo Programma, con la P rigorosamente maiuscola per rispetto al concetto e magicamente evocativa di inarrivabili delizie paradisiache, come del resto tutte le promesse sull’ignoto.

A fronte di così rosee aspettative sarebbe persino di cattivo gusto ricordare che dal ’24 ad oggi il Genoa non ha mai avuto alcun programma che si estendesse oltre i sei mesi, e che le pochissime cose buone che ha fatto la società in tal senso sono avvenute molto più che per la programmazione per il più puro caso, travestito, magari, da fulmine intuitivo di qualche direttore sportivo.

Invero non si sa bene perché se un buon Presidente non lo abbiamo trovato in oltre 60 anni, dovremmo trovarlo proprio ora, nel momento in cui nessun serio imprenditore acquisterebbe una squadra di calcio: ma qui, adesso corriamo troppo forte e troppo lontano.

Ci sono altri, però – ed io, naturalmente, tra questi - che proprio non riescono più ad illudersi e a crederci ancora e gli ultimi paraventi che, inconsciamente o meno, avevano frapposto tra il desiderio di uno sport e la realtà di una recita, sono stati crudelmente frantumati in questo ultimo anno.

E’ vero che la risposta razionale sarebbe semplicissima e scontata: di altre attività nelle quali impiegare il proprio tempo, ce ne sono molte, anzi moltissime, alcune anche più virtuose, tutte certamente più divertenti.

Eppure c’è qualcosa che, forte come l’abbraccio del tempo, ancora ci trattiene, ed è persino inutile chiedere cosa sia: se sei Genoano non hai bisogno di chiederlo, se non lo sei, non hai bisogno di saperlo.

  Genoa, 21 Aprile 2006                         Cecco Angiolieri


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