Il tradingmento fa bene all'amore (dei tifosi)



Le vicende un po' frenetiche del calciomercato in corso impongono qualche riflessione.

Esse si riannodano, per la verità, alle vicende del calciomercato precedente. La prima impressione è quella di sconcerto: il Genoa ha trattato e sta trattando un numero di giocatori ben superiore a quello necessario a completare la rosa, dal punto di vista delle esigenze tecniche. Ne è conferma il fatto che una notevole parte di tali giocatori non ha mai vestito la casacca rossoblù e probabilmente non la vestirà mai.

Impazzano le chiavi di lettura, a volte infantilmente entusiastiche, spesso perplesse, talvolta diffidenti se non addirittura malevole (a Preziosi piace giocare, da dove verranno i soldi? quali obiettivi malandrini avranno in mente? Preziosi vuol comprare la Lazio, il Napoli, la Roma, la Nazionale cantanti, vuol diventare Amico degli Amici, è Amico degli Amici, vuol scendere in politica, vuol salire in politica, essere il primo Papa Partenopeo e Genoano, in un crescendo di fantasia non sempre costruttivo).

La cosa può essere letta in molti modi. Alla bocca del tifoso, il gusto ha, con terminologia da sommellier, una testa lievemente amara: siamo cresciuti sognando sull'album Panini e identificando la maglia, la squadra, la società e la impresa sottostante. Veder comprare giocatori senza impiegarli nella casacca a quarti rossoblù può dare l'idea del disordine o addirittura lasciare in bocca un sapore sgradevole (Boateng al Milan? Siamo servi delle grandi!).

Non è però detto che sia questa l'unica chiave di lettura, e nemmeno che sia necessariamente quella giusta.

Immaginate di avere un discreto gruzzolo a disposizione, di essere convinti (a torto o a ragione) di avere una buona competenza nello scoprire talenti e di avere l'ambizione di costruire una buona squadra, cercando il limite.

Immaginate anche di avere la consapevolezza che il meccanismo classico di finanziamento di una squadra di calcio:

(spettatori + plusvalenze sui giocatori della rosa + merchandising) -

(ingaggi + acquisti giocatori)

porta a un risultato sempre negativo, in un sistema che deve tener conto della variabile impazzita dell'infantilismo irrecuperabile dei tifosi.

Il calcio italiano ha sempre avuto tre alternative tradizionali.

La prima è quella della squadra assistita dalla politica e da un sistema finanziario compiacente (banche amiche). Inutile precisare a quali squadre stiamo facendo riferimento.

La seconda è quella dell'investimento a fondo perduto (il deficit di bilancio è sempre ripianato dall'azionista di riferimento, che ne guadagna in introiti indiretti o addirittura poco puliti, ovvero, semplicemente ha soldi da buttare, come è il caso dell'Internazionale di Milano).

La terza è quella di una politica di investimenti oculata e fondata sulle plusvalenze realizzate vendendo i giocatori migliori della propria rosa.

Tutte e tre hanno dei limiti.

La prima, a parte quelli di decenza, nel fatto che un sistema compiacente non è disponibile per tutti.

La seconda è che non tutti vogliono buttare via soldi. E nessuno può farlo all'infinito.

La terza è che il margine operativo, ammesso che le cose ti vadano bene, è comunque piccolo: devi azzeccare tutte le mosse e in ogni caso cresci molto poco per volta. Non si può pensare di scoprire un nuovo Messi ogni anno. Con il normale margine delle plusvalenze di una rosa cresci lentamente, lentissimamente dalla dimensione del Chievo in su.

Ecco allora una possibile chiave di lettura alternativa, degli strani mercati del Genoa (al netto di evidenti – e inevitabili - errori): il tentativo di allargare l'area del trading di calciatori al di là della rosa dei giocatori che impiegherai con i tuoi colori: istituire un commercio di calciatori su una ideale circonvallazione esterna che non passa per la squadra (per intenderci, quella originariamente pensata per Boateng, ma quella concretamente praticata per Bonucci) altro non è (o può essere) che inserire una nuova attività redditizia, a fianco del normale esercizio della impresa calcistica, per finanziare quest'ultima.

Non è detto che le cose stiano effettivamente così, né che funzionino necessariamente, ma certo è una idea imprenditorialmente interessante.

Chissà che non si arrivi, in futuro, a imprese il cui core business sia il commercio di calciatori e la squadra solo il veicolo pubblicitario.

La coda del sapore e il retrogusto potrebbero, allora, anche essere dolci: questa via potrebbe portare alle stalle, ma anche alle Stelle, se gestita adeguatamente.

Poi, chissà se è vero, ma non pensare sempre male fa vivere meglio. .



  

Genoa, 9 agosto 2010





Principe Myskin

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