I frutti del G8

Dispiace, per chi ha sempre urlato contro la politica negli stadi, dover ora trattare di politica. Ma in fondo in questo momento il calcio è latitante, e i fatti di Catania vengono da più lontano che da una rivalità di campanile. E come tali vanno affrontati.

Da anni infatti assistiamo ad una deriva violenta della società giovanile italiana - forse anche europea - che però in Italia viene troppo spesso blandita e giustificata - da chi adesso governa e dalla stampa che ha sempre governato - col disagio, la disoccupazione, la preoccupazione del futuro. Assistiamo tutte le domeniche a incidenti e devastazioni, durante le quali solo per miracolo, alcune volte, non ci scappa il morto; venerdi questo miracolo non c'è stato. E non mi si venga a dire che poi alla fine il povero Raciti è stato vittima di un regolamento di conti personali, perchè sarebbe la fine di tutto: non è a questo episodio luttuoso che ci si deve riferire, ma alle altre decine che avvengono tutte le domeniche. E' indecente che in un paese che si vuole definire civile si debba aspettare un cadavere per chiudere le stalle all'ingresso delle bestie, ma purtroppo è così.

Un paese che tollera che passi il messaggio che in fondo quello che è successo al G8 è stata colpa della polizia, in cui si inneggia alla morte dei propri soldati - e chi lo fa siede in parlamento - non è un paese civile. Come non è civile un paese in cui i politici fomentano l'odio per puri interessi di bottega, in cui si dileggiano pubblicamente anche in televisione le più alte cariche dello stato, in cui l'autorità, sia quella di un insegnante che quella di un tutore dell'ordine, non viene più riconosciuta come tale.

E purtroppo di esempi del genere, dal G8 in poi, ne abbiamo a decine. La stampa, da allora, si è occupata solo dei processi alle forze dell'ordine, quelle forze dell'ordine scampate alla strage in Corso Torino e attaccate moralmente e materialmente solo perchè stavano lì per far rispettare la legalità e la proprietà privata altrui, confondendo le deviazioni di una piccola minoranza con la necessaria tutela dell'ordine pubblico. Perchè non bisogna mai dimenticare che chi sta lì in divisa, con uno stipendio da fame, lo fa per far rispettare le leggi e per difenderci, a costo di dover usare, loro si, le armi. E non si può nemmeno lontanamente pensare che i delinquenti e i poliziotti debbano stare sullo stesso piano, entrambi disarmati - come si sentiva dire all'epoca del G8 - perchè sarebbe la fine della legalità. E' piuttosto vero che un poliziotto ben addestrato e bene armato, se tutelato da un sistema giudiziario che garantisca la pena, con tutta probabilità l'arma nemmeno deve usarla.

Dal 2001 invece il messaggio che passa è quello che poi si sente cantare nei cori di questi delinquenti e che leggiamo oggi sui muri d'Italia: uccidere un poliziotto non è un reato. Come negli anni di piombo. E così si perde la percezione della realtà, che è un'altra, semplicissima: le leggi - come la vita umana - vanno rispettate, volente o nolente.

Ci vogliono leggi speciali ? No, lo diciamo dal 2006 e anche da prima: quelle che ci sono bastano e avanzano. A cosa serve numerare i seggiolini e sequestrare i tappi di bottiglia quando poi tutto succede per strada ? Ormai il clima è quello di una piccola guerra civile, tra ultras e polizia. Se davvero si vuole stare dalla parte della legalità, e non si vuole blandire questa gentaglia in nome di un pugno di voti (rossi o neri che siano), chi governa deve dare alle forze dell'ordine i mezzi idonei per combatterla e vincerla, questa guerra civile: in Inghilterra li hanno combattuti con la polizia a cavallo, con i proiettili di gomma, con i manganelli elettrici, con pene severissime anche per piccoli reati; e soprattutto con la certezza della pena. Alternative al carcere ? Non certo la proibizione ad entrare in uno stadio. Lavori utili: la domenica per 5 ore a pulire fiumi, spiagge e boschi, magari con la palla al piede, come gli ergastolani nei film americani. Getti qualcosa in campo ? Tentato omicidio, processo per direttissima, carcere diretto.

E la stampa deve usare l'oblio; perchè l'informazione porta all'emulazione. Prova ne è che, nel mondo minorile, sta dilagando la moda di riprendere le proprie ed altrui nefandezze con i telefonini per diffonderle in rete. Volete scommettere che già in queste ore si potranno trovare le immagini degli scontri di Catania ?

Perchè qui in Italia non si ha il coraggio di affrontare seriamente questa gente ? Perchè si devono lasciare indisturbate queste isole franche in cui lo stato semplicemente non esiste e le leggi se le fanno loro ? Ve lo dico io: perchè si teme di perdere il consenso, quello fondamentale non per fare il bene dell'Italia, ma per tenersi ben salda la poltrona attaccata al culo.

Le società, dal canto loro, possono e devono fare tanto. Intanto prendendo le distanze da questa gente: io non voglio mai più vedere un Presidente di una squadra di calcio al ristorante con gli ultras; ogni forma di connivenza (e di finanziamento perchè stiano buoni) deve essere bandita, anche a costo di scatenare la contestazione becera che abbiamo vissuto a Genova l'anno scorso o che si vive a Roma sponda Lazio, dove i Presidenti hanno tagliato i finanziamenti. Poi si deve impedire la vendita dei biglietti popolari: stadi frequentati da soli abbonati - introduzione di nuove forme di abbonamento, per esempio per 10 ingressi, oppure, durante il campionato, per miniserie di non meno di 3-4 eventi - o da possessori di biglietti solo per settori che costino dai 50 euro in su, questi si numerati (che la rigida numerazione degli altri settori è al momento inutile e irrealizzabile). Impedire quindi, di fatto, le trasferte agli ultras. Allargare la platea degli stadi alla gente per bene: riservare le gabbie - senza più grate - all'ingresso gratuito dei bambini; promuovere manifestazioni collaterali - cantanti, spettacoli diversi, calcio giovanile, sport minori - che occupino un pomeriggio intero, il clou del quale possa essere la partita. I mancati proventi degli incassi ai botteghini, se mai ci saranno, possono essere abbondantemente compensati con il merchandising diretto alle famiglie e a chi vuole vivere una serena domenica di spettacolo. Pensate al SuperBowl americano.

Questa domenica, per chi ama il calcio, è stata atroce: vedere politici sciorinare tutto il repertorio di frasi fatte, senza impegnarsi a fare nulla, vedere gli addetti ai lavori esprimersi per luoghi comuni quando sono i primi ad accettare questo stato di cose, fa male. Come fa male non potersi gustare una giocata di Totti a San Siro. Perchè chiudere il baraccone è il modo migliore di arrendersi, e di comunicare al mondo che non si è in grado di fare nulla.

Ci sono riusciti gli inglesi, a rivivere il calcio come uno spettacolo: non vedo perchè non dovremmo riuscirci noi.

Genova, 4 Febbraio 2007

Liaigh