Volare è potere

 

E' risaputo che i Genoani sono un po' matti. Ne fa fede, modestamente, anche questo pezzo, che coniuga, con la leggerezza di un termosifone di ghisa o di una polenta concia, il Genoa, la vocazione a dire stupidaggini, la letteratura e la filosofia (in rigoroso ordine di decrescente importanza).

Unica consolazione è che l'ingresso, come sempre, è gratis.

 

 

Ci sono giornate che emergono dal lago del quotidiano come isole.

A volte sono giorni piccoli, destinati a segnare il tempo come gli anelli di un tronco, altre sono giorni altissimi e dirupati che si ergeranno minacciosi nel ricordo. Altre ancora, giorni che non li capisci fino a che non li hai saliti fino in vetta: piccole alture che sembrano nulla e invece son le uniche a permetterti di vedere un po' più lontano.

Marcel Proust diceva che la vita sembra brutta solo perchè la più gran parte non la si vive, la si trascorre solamente, fasciati tra due materassi di abitudine, e soggiungeva che, per vedere cose nuove, non serve e non basta viaggiare in posti nuovi, ma occorrerebbero occhi nuovi.

Qualcosa di nuovo io ho visto domenica, e, come spesso accade, qualcosa di antico.

Seguendo un filo di simmetrie inconsapevoli, innanzitutto, alla partita sono andato (stringendo  i denti e in barba ai medici) con l'autobus che fa servizio dalla Stazione Principe allo Stadio. Appena salito, mi sono accorto che non lo prendevo da tanto, quell'autobus, dalla partita con il Siena della retrocessione in serie C.

Lì mi è corsa alla mente una prima idea, la stessa di quattro anni fa: che, come diceva Fabrizio De Andrè, all'uomo non puoi togliere la capacità di sognare. Per quanto fossi fermamente convinto che saremmo andati ai play off, l'immagine di come sarebbe stata la città in festa alla fine della partita, di come avrei rivisto dieci volte le immagini alla televisione, di come avrei raccontato la partita al Tato, di come avrei sorriso quando Andrea, come sempre, mi avrebbe chiesto se aveva segnato Gasparòn (nel bestiario infantile c'è spazio anche per la fusione di due opposti come il funambolico Gasparetto e il ciclopico Leòn...) beh quell'immagine continuava a tornare a galla, come un sughero inutilmente spinto sotto il pelo dell'acqua.

In Gradinata Nord poi, ho ritrovato - un po' sbiadito ma era lui ! -  il me stesso di Genoa Venezia.

Mi sono fermato a pensare - come già tante altre volte - quanto è strano che tante ansie, gioie e dolori corrispondano - a volte o forse spesso - a una realtà  magari apparente, magari insignificante: a Genoa Venezia si pativa realmente, ricordo persone che non riuscivano a star ferme ripetendo una litania di "non ce la faccio più".

Eppure non solo era una partita di calcio, ma – si dice – era una partita finta.

Questo ha creato imbarazzo, alla mia testa e al mio cuore e a quello di tanti altri. C'è chi ne ha tratto, come reazione, un sovrano disprezzo per i creduloni, chi si è fatto grasse risate, chi ha smesso di credere, chi non ha voluto accettare di essersi sbagliato e ancora nega tutto.

Io fino a domenica ero fermo in mezzo al guado.

E a dimostrarlo sta il fatto che, da intellettuale scettico e razionale di ritorno, immaginando che maligni giochi di specchi potessero questa volta venire da Piacenza,  mi ero munito di radiolina regolamentare, stile Fantozzi durante la Corazzata Potemkin. Ben presto, mi si è creato intorno un piccolo Centro di Verificazione dei Fenomeni Paranormali, come quelli che si incaricano di smontare le fole di maghi e guaritori. In più di una occasione è proprio questo che successo: abbiamo smentito le più strane voci, nate equivocando le reazioni - scomposte - di qualche tifoso distante centinaia di metri, a mezze frasi di radiocronisti anch'essi sull'orlo di una crisi di nervi, e amplificate mostruosamente di bocca in bocca: a Piacenza goal di Jachini in rovesciata, direttamente dall’area tecnica della panchina. Il Questore di Piacenza para un rigore alla Triestina. Nel Piacenza si scalda Moggi, un Gorilla rapisce Jachini…

Per un po' mi è parso di fare un'opera meritoria.

Poi ho improvvisamente capito che stavo afferrando solo una frazione di quello che accadeva, che ero come uno che pretende di capire un film limitandosi a leggerne trama e titoli di coda. 

E ho capito che, se era sicuramente vero quello che capitava in gradinata, poteva benissimo esser finto tutto il resto.

Che, come nella vita, è difficile stabilire se ciò che vedi è vero o falso, importante o inutile, piccolo o grande. Che, come diceva il Piccolo Principe (anche lui uno di famiglia, evidentemente  ), l'essenziale è invisibile agli occhi.

Che se la ragione serve a evitare di finire sotto una macchina attraversando la strada, è il cuore a tessere la tela che ci unisce a persone lontane nello spazio e nel tempo, a parlare con chi non c'è ancora e con chi non c'è più.

E che è questo il dono - immenso e pericoloso - che l'uomo ha ricevuto: il dono di credere senza vedere, di sentire senza toccare, di dialogare senza parlare.

Il Genoa e i genoani, in questa rete, mi son sembrati, ancora una volta, un po’ più avvantaggiati di altri.

Come ho già detto un’altra volta, il cuore, nella vita di tutti ai giorni serve a poco, anzi, nel calcolare la rotta del sopravvivere, (che è cosa altrettanto essenziale ma diversa dal vivere) spesso è un impaccio, uno scarto imprevedibile, un costo non preventivabile e non negoziabile, salto e sofferenza. Nemico della organizzazione, incompatibile con quel mondo che pretende, dice Robert Musil, che si sia tutti della dimensione giusta, né troppo lunghi né troppo corti, per poter stare, come matite, nella confezione predisposta per tutti noi.

Per tutte queste cose, certo, il cuore non è un bene.

Ma la vita e la storia non sono solo ordinaria amministrazione.

Una volta ogni dieci, cento, mille anni (a ogni vittoria del Grifo, direte ), ci vuole anche qualcuno che sappia fare un salto impossibile nel vuoto, vedere nel buio o vedere cose che non ci sono, e quel salto lo sanno fare solo gli Eroi, la Luce la vedono solo i Santi e i Poeti.

E una volta ogni tanto ci si imbatte anche nella Poesia. Ed è la Poesia la nostra rivincita.

Spesso si ripete che volere e potere, ma i Genoani sono la prova pulsante di un altra verità: volare è potere.

 

 

Nota.

Questo articolo è dedicato al Signor G. del Genoa Club Verdeal, che non incontrerò più per la strada a farmi cenno che ci vuole pazienza e i tempi belli arriveranno.

E’ salito al terzo piano della Nord poco prima di Genoa Napoli, voleva evidentemente godersi lo spettacolo da lì.