Il papà di Mario

di Cecco Angiolieri

Ci sono molti modi per contare il tempo, ed altri per contare il proprio tempo.

Tra i più malinconici, ma anche più ricchi e densi del sentire umano, c’è il saluto e il ricordo di chi è salito sul treno alle stazioni precedenti le tue e ora ne è sceso.

Domenica  sera ho dovuto salutare il papà di Mario, tra i miei migliori amici il più antico, la cui amicizia è nata in un imprecisato momento della mia e nostra  primissima infanzia, senza neppure il barlume di un ricordo, perchè a uno o due anni non si ha ancora la memoria per conservare  ricordi, neppure a barlumi.

Così, Mario e la sua famiglia, per me sono sempre esistiti, così come sono sempre esistiti i rigorosi e liturgici rituali della Domenica, quando in casa di Mario, sua mamma sulla candida tovaglia profumata di bucato portava le tagliatelle al sugo di lepre, e dopo un pranzo dai sapori mitici,  il papà di Mario ci portava a vedere il Genoa.

Ricordi intagliati nell’anima di un tempo, dove il tempo stesso sembrava non avere ancora cominciato a scorrere sul serio, perchè, quando si è bambini, il tempo ancora sembra non esistere, o quantomeno ha cadenze così lente da sfiorare l’eternità, e i ricordi di quel tempo hanno un carattere assoluto e di una tale forza e intensità, che finiscono per assumere un elemento fondante dell’identità stessa di chi esercita il ricordo. 

E così è ormai entrato nel patrimonio della mitologia familiare della mia famiglia e di quella di Mario, quella volta che al ritorno dalla partita, avendo visto su una bancherella una bandiera del Genoa, mi soffermai ad ammirarla, perdendomi nella folla.

La cosa non mi sconvolse più di tanto, perchè riuscii a prendere il “dodici”, che allora era ancora un tram, e ritornare a casa.

Chi invece non volle tornare a casa, invece, fu il povero papà di Mario, che avendomi perso di vista sprofondò nell’angoscia più tremenda e, immaginandomi ormai avviato verso i più tragici destini , per ore si aggirò per le vie adiacenti allo stadio cercandomi in ogni dove, non avendo più il coraggio di tornare a casa.

A distanza di una trentina di anni mi è successo di provare più o meno le stesse sensazioni con mio figlio, che aveva suppergiù la stessa età che avevo io a quell’epoca, e ancora una volta ripensai a quell’episodio, vedendolo e ricordandolo, però, con altri occhi e con ancora più dolcezza e tenerezza.

Scusate se questa volta non ho voglia di parlare della partita e della brillante vittoria, ma una volta di più mi rendo conto di quanto il Genoa sia intrecciato con i miei ricordi più profondi e i miei affetti più sinceri, e siccome oggi mi è toccato salutare una persona cara, ho pensato di farlo qui, perchè qui mi sembrava il posto più giusto.

Sua moglie, Mario, Giovanna,  Francesco, i suoi nipoti  e tutti quelli che gli hanno voluto bene – sono sicuro – lo capiranno.

 Genoa, 26 marzo 2007                        

  Cecco Angiolieri

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