Allo stadio con Papà
La storia > La vetrina del salotto
						Gran parte di noi ha iniziato ad
						andare allo stadio con Papà, una mano a lui, la bandierina nell'altra, il
						cuscinetto sotto braccio. Nel 1967 non usavano le sciarpe, altre insegne non ne
						avevamo, ma la passione cominciava a farla da padrona, anche se ancora mi
						chiedevo se "giocare in casa" non fosse troppo pericoloso per il
						mobilio. Le ripide gradinate del vecchio Ferraris erano impegnative per un
						babanetto di sei anni, ma le ultime due rampe, che aprivano lo sguardo su
						quello splendido prato color smeraldo, le ho sempre fatte di corsa, quasi in
						apnea, e papà scattava per starmi dietro. A quei tempi, quando il Genoa non
						giocava "in casa", capitava spesso di Domenica di mangiare
						nell'entroterra, e lì vicino si trovava sempre un campetto in terra battuta su
						cui scambiare quattro calci: papà sapeva correre, scattare, saltare per colpire
						di testa; aveva gambe secche secche, ma una vitalità nei contrasti che mi
						faceva inorgoglire. Così era allo stadio, sapeva scattare con me, e non mi
						sorpresi troppo quando, durante un Genoa-Cesena, nel 1969, mi ritrovai
						trattenuto da mio zio perché papà, già irreprensibile professionista, era in
						cime alle griglie: la partita fu sospesa per invasione di campo, lui,
						fortunatamente, non riuscì ad entrare.
						
						Ho tanti altri ricordi di una
						vita passata allo stadio, innumerevoli direi, ma quello che più si collega a
						questi è stato molto più recente: nel 1997 papà era assente dallo stadio da più
						di 4 anni. La malattia che me lo avrebbe poi portato via improvvisamente l'anno
						dopo, gli aveva impedito di assistere al declino del Genoa dei miracoli, quello
						di Liverpool. Firenze e Ravenna erano state tappe che aveva vissuto,
						amaramente, dal salotto di casa. In realtà non ci sarebbero state
						controindicazioni assolute ad assistere a qualche partita soft, ma la paura -
						lui medico di se stesso - dominava la passione. Quell'anno, mentendo su un
						biglietto di distinti avanzato all'ultimo minuto, riusciì finalmente a portarlo
						allo stadio: Genoa-Lecce in cartellone, col Lecce di Ventura e Francioso primo
						in classifica e il Genoa, come al solito, ad arrancare nelle retrovie.
						Automobile al garage sotto i distinti e via verso il Ferraris: il passo era
						molto diverso dal 1967, ma le emozioni erano le stesse. Invertite però. Rivedo
						lo sguardo di papà, nel ritrovarsi davanti a quel prato color smeraldo che
						ormai era un ricordo, stemperato dal contrasto di un tvcolor. Una sensazione
						dolce-amara, meravigliosa, che non dimenticherò per tutta la vita. Era lo
						sguardo di un bambino, quello che i bambini hanno quando aprono un giocattolo
						nuovo a Natale, quello che avevo io alla domenica nel 1967. E questa volta ero
						stato io a regalarlo a lui. Vincemmo due a zero, ma almeno per quella domenica
						il risultato non interessava a nessuno.
Liaigh
								 
