Leghe da legare II

Il futuro del pallone, tra Calciopoli e l'Antitrust (seconda puntata)


Prosegue la nostra piccola inchiesta sul presente e il futuro del pallone. Nella prima puntata abbiamo esaminato le ragioni di chi vuol riformare il sistema, ora vediamo gli argomenti contrari.

I Druidi come il CISS: per viaggiare informati .

 

Stefano Olivari è un giornalista di assai gradevole lettura e autore, tra l'altro, del godibile "Notizie da cialtronia", libro in cui raccontava una serie di aneddoti sui vizi del calcio, mascherando il nome dei protagonisti. E' un libro interessante, che racconta anche qualche vicenda genovese. Alcune più note, come un lontano Genoa - Inter in cui giocava Bagni, se ben decifriamo i nomi a chiave, e altre meno, come, sembrerebbe, alcuni - gustosi e forse non del tutto edificanti - retroscena dello scudetto del 1991...  Nel suo sito, Olivari di recente ha scritto un articolo che ha un merito ulteriore, quello di cercare di spiegare le ragioni per cui sarebbe equo mantenere lo strapotere della Lega Professionisti e il sistema di contrattazione individuale dei diritti televisivi, in una parola perché il duopolio Milan Juventus sarebbe il migliore dei mondi possibili. L'argomento, fondamentalmente, è che sarebbe giusto che gli imprenditori che sanno far fruttare meglio i loro investimenti ne traggano tutto il guadagno possibile. Egli paragona le società di calcio a panettieri e afferma che la riforma proposta dal Commissario Pancalli (una più equa ripartizione dei ricavi e divisione democratica del potere del calcio) equivarrebbe a mettere "sistematicamente in minoranza i panettieri più bravi, famosi e popolari, costringendoli ad obbedire a quelli meno bravi ed ai politicanti (grazie Tex) che dicono di proteggerne la dignità."

A nostro avviso, questo è un ragionamento tanto suggestivo quanto poco convincente (se non ipocrita). A parte che la fede nella bravura dei panettieri come unico fondamento dei successi sportivi è uscita piuttosto... malconcia dalle indagini della recente Calciopoli, resta il fatto, in primo luogo, che, se il calcio deve essere business puro e non fenomeno sportivo di rilevante valore sociale, si dovrebbe avere la coerenza di eliminare tutto l'insieme di privilegi, aiuti e provvidenze, legali e di fatto, che lo sostengono. Se il calcio è business, è vero che i bravi devono tenersi tutti i guadagni, ma anche che gli incapaci devono fallire e non godere di crediti agevolati, decreti spalmadebiti, salvataggi in extremis, geremiadi politiche, abnormi dilazioni di pagamento (magari di debiti fiscali, a danno dei contribuenti onesti) e salvagenti assortiti. Se il calcio, invece, non è business puro, ma altro, deve essere regolato da norme diverse, anche quanto alla ripartizione del denaro e la democraticità delle decisioni. Del resto, nessuno obbliga a investire nel settore. Che il pallone sia business solo per chi ci sa guadagnare e sia impresa di pubblica utilità per chi non sa farla fruttare è invece molto conveniente a chi ci investe, ma resta da rendere conto, a cittadini informati, perché, in sostanza, i contribuenti, da un lato, devono finanziare le squadre in perdita (pagando le tasse e i debiti al posto loro, in ultima analisi) e, dall'altro, non godere, attraverso la redistribuzione (ai settori giovanili, allo sport minore ecc.), dei guadagni di quelle in attivo.

Non solo: se anche se tutto quel che precede non fosse vero (e ci pare invece che lo sia), resta che la scommessa di Olivari sarebbe comunque piuttosto ... miope. Nel medio termine, la capacità di produrre ricchezza del calcio si fonda sull'interesse per i campionati, e tale interesse dipende dalla loro incertezza. Proseguendo sulla strada intrapresa, l'unico torneo in grado di mantenere incertezza sarebbe la Champions League. E' evidente che, più o meno scopertamente, il disegno sottostante è quello della organizzazione, alla fine, di un torneo europeo e il progressivo distacco delle megasquadre dai campionati nazionali.

Il che comporterà. a tacere del resto, un grande impoverimento, tecnico ed economico,  di tutto il sistema del calcio nazionale.

I campionati nazionali saranno magari alla fine più equilibrati, ma la strada per arrivarci è, senza scampo, o quella di ulteriori pesanti salvataggi (a spese pubbliche) delle squadre esistenti, o quella di numerosi fallimenti (che sono sempre a spese altrui, a spese dei creditori che restano gabbati dalle squadre fallite).

E, altrettanto certamente, una assai drastica riduzione del tasso di occupazione tra i calciatori.

Il che non è detto che sia un male, purché si tratti di profili previsti e calcolati, pubblicamente dibattuti e socialmente accettati.

Molti indizi, tuttavia, fanno pensare che sia il contrario (e che anzi, sia molto meglio non far sapere...).

Insomma, che Pantalone prima o poi sarà chiamato a metterci ancora una pezza.

E come diceva De Gregori, Pantalone siamo noi, nessuno si senta escluso.


 

 

 

 

 

Genoa, 11 gennaio 2007

 

 

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