British

di Aglaja

 

Ieri sera, 20/02/05, poco prima di consumarmi il fegato ed usurarmi le corde vocali seguendo la trasferta vicentina del Grifo, guardavo la trasmissione di Fazio (sì lo so, il dorianissimo Fazio, ma la trasmissione è divertente e intelligente, merce rara di questi tempi) "CHE TEMPO CHE FA", dove era ospite un campione che, sportivamente ed umanamente, ha sempre suscitato la mia ammirazione: GIANFRANCO ZOLA.

Le mitiche punizioni di Zola

Recentemente è stato insignito dalla futura suocera di Camilla Parker Bowles del titolo di "Membro onorario dell'Ordine dell'impero britannico" per i suoi cinque anni di calcio inglese, al Chelsea, e per nobiltà di intenti. "Il giocatore straniero più duraturo nella storia del Chelsea", si legge nella motivazione. E ancora: "Un eccellente ambasciatore del calcio e il modello ideale per giovani tifosi".

E in effetti, partendo dal Napoli di Maradona a fine anni Ottanta, attraverso l'esperienza di Parma e il ritorno al suo Cagliari due stagioni fa, sono i cinque anni londinesi a rivelarne pienamente il carattere e la natura geniale, (che ancora oggi, a trentotto anni, lo rende capace di infiammare tifosi amici ed avversari): 'trick box', scatola magica, lo avevano soprannominato, a ragione, i tifosi del Chelsea, il club del quartiere più esclusivo di Londra.
Le notizie che arrivavano dai tabloid  inglesi mai ci parlavano di scandali o scandaletti, di notti brave o ciucche memorabili, di attacchi paralizzanti di nostalgia o di fughe improvvise. Ci riportavano, invece, una vita tranquilla, molto british: un campo di golf, una partita al sabato e poi, il giorno dopo, pochi pacati commenti, goal bellissimi e "pesanti", la nomina di giocatore dell'anno alla prima stagione, ma soprattutto l'immediata identificazione con il modo britannico di intendere il football e la vita. Tante vittorie e traguardi sportivi raggiunti, ma - e leggendo la motivazione dell'onorificenza lo si comprende bene - anche qualcosa di più importante.

"La passione che naturalmente ha per questo sport è unita a una determinazione a sostenere i più alti standard di comportamento. Durante tutto il periodo trascorso in Inghilterra è stato uno spiccato sostenitore di numerose iniziative di beneficenza, ricevendo estesa ammirazione per il modo in cui ha dedicato il gol decisivo per la vittoria nella coppa di Lega inglese a un ragazzo malato terminale, che aveva visitato in ospedale e che è deceduto recentemente".

Zola , commentando tale onorificenza aveva dichiarato: "Sono molto onorato, non mi aspettavo di ricevere un tale riconoscimento. E' una cosa che mi fa veramente piacere, mi sento un cittadino britannico".

Zola sul lungomare di Cagliari

Ecco, forse è per questo che ieri sera, nel corso della brillante partecipazione al programma di Fazio, dove, ancora una volta, si è mostrato sorridente, auto ironico, saggio e intelligente, ha affermato che, pur essendo felice di essere tornato in Italia e di giocare nel "suo" Cagliari, rimpiange il particolare modo inglese di vivere il calcio, sia dal punto di vista della minore pressione dei media sull'evento sportivo in sè (in soldoni: Processi di Biscardi e cloni, là sono inconcepibili), sia dal punto di vista del tifo che, al di là del deprecabile fenomeno degli hooligans (oggi peraltro sotto controllo), mostrerebbe nei sostenitori una sportività e un attaccamento ai propri colori da noi inconcepibile. Per esemplificare quest'ultimo concetto, Zola ha fatto riferimento a un episodio che molto lo impressionò: il giorno in cui il Manchester City fu retrocesso, i suoi tifosi, invece di fischiare o, addirittura, aggredire i giocatori della propria squadra, li chiamarono sotto la curva applaudendoli ugualmente. "Una cosa inconcepibile qui in Italia" ha quindi chiosato Zola.

UNA COSA INCONCEPIBILE QUI IN ITALIA?

GENOVA E'STATA CONQUISTATA DALLA CONFEDERAZIONE SVIZZERA E NESSUNO MI HA AVVERTITA?

SPENSLEY, OLTRE A FONDARE IL GENOA E IL CALCIO ITALIANO FU DONATORE EMERITO DELLA LOCALE BANCA DEL SEME E I GENOANI HANNO TUTTI SANGUE INGLESE?

No, perchè allora non mi spiego come mai anche qui a Genova qualcosa di grande e di magico accadde non molto tempo fa

(e ricordiamocelo bene: NON MOLTO TEMPO FA).

Mi perdoneranno i lettori dei Druidi se mi citerò, riproponendo alla loro attenzione (magari leggesse anche ZOLA!) un mio piccolo pezzo che ricorda chi sono i tifosi del Genoa

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Questo siamo noi (7 giugno 2003)

Noi c'eravamo, ieri sera.

Eravamo lì, ancora, come sempre, per festeggiare il nostro amore per te, Genoa, Genova, radice di noi tutti, matrigna e madre di dolore e gioia. Si spegne, in una serata come quella di ieri, ogni individualità, ogni particolarismo: eravamo noi, i Genoani, ed eravamo i nostri padri, i nostri nonni, i bisnonni e i nostri figli e la Genova che sarà, a ritrovarci in un appuntamento di rinascita. Eravamo noi, i Genoani, il dodicesimo che non tradisce mai, che mai abbandona, che sempre rimane a dispetto di tutto. Eravamo noi, i Genoani, in quei boati che si alzavano al cielo, in quell'anima che ha reso campioni quei meravigliosi ragazzini in campo, in quei colori che hanno riempito la città del nostro esserci. Come spiegare, come raccontare, logicamente, razionalmente, se di logico, di razionale non c'è stato nulla, la magia incredibile di ieri: solo sentimento, follia, commozione, emozione. Una sbornia di allegria, lacrime e speranza: la catarsi perfetta, tanto attesa, si è compiuta. E lo zenit, dopo un tripudio di cori instancabili di appoggio incondizionato verso la squadra e il suo allenatore, si è raggiunto quando si è levato, alto e potente, solenne ed intenso come il Va'Pensiero, il *nostro* Ma se ghe penso. Lì ho visto la mia pelle accapponarsi dall'emozione, come quella delle persone che mi erano vicine. Ma le mie lacrime sono sgorgate incontenibili, e non me ne vergogno, al terzo goal del Genoa: la felicità di quel ragazzo, l'entusiasmo da scudetto dello stadio, l'abbraccio dei suoi allievi al maestro buono, Vincenzo, hanno dato la stura a tutte le emozioni che ero, con fatica, riuscita fin lì a dominare. E la festa finale, il trionfo di Torrente, di Preziosi, le mille bandiere e i tifosi esultanti in campo e ancora i caroselli festosi per le strade: una follia d'amore meravigliosa e unica nella storia del calcio. Da dove nasca questa follia è arduo spiegarlo: si impazzisce per amore, per il troppo dolore, per l'eccessiva felicità, per l'alternarsi violento di speranza e disillusione, di schiaffi e di baci. Ma le parole, le spiegazioni, sono superflue, ridicole. Un bambino di nove, dieci anni, spinto dai genitori sulla sua sedia a rotelle, all'uscita dallo stadio, ieri sera, braccia al cielo con un bandierone sventolante, gli occhi brillanti di entusiasmo e felicità, gridava: "Siamo i più forti! Siamo i più forti!".

Questo siamo noi.

Un'onda che tutto travolge

 

Aglaja