Lividi e rimedi

di Aglaja



Torino, 7 settembre 2005.

Il Pizzighettone non ha infierito: il risultato a reti inviolate lo ha illuminato di immenso, più della scarsa illuminazione del Delle Alpi: forse un gesto pietoso per mitigare  l'impatto visivo alle migliaia di tifosi rossoblù, accorsi un mercoledì sera settembrino a vedere giocare i resti sparsi di un sogno tardo primaverile. 

Al termine dell'incontro, si sono alzati fischi sonori e grida di scontento da parte del pubblico genoano, una reazione ingenerosa ma comprensibile, dettata più dal livello di esasperazione raggiunto, che dalla prestazione in sè, per altro, occorre riconoscerlo, di scarso livello.

Certo, le scusanti per la squadra di Vavassori ci stanno tutte: sono uomini e ragazzi che si sono conosciuti l'altro ieri, cui manca preparazione atletica e affiatamento tecnico, che si sono ritrovati in un bailamme giuridico, societario, mediatico che avrebbe steso un bisonte. Inoltre, non dimentichiamoci che avevano stravinto sul campo tre giorni prima a Ravenna, sull'onda di un'energia nervosa ammirevole, vittoria che, come apprendevano increduli solo dopo poche ore, era stata vanificata da un inverosimile errore della società.

Ma è altrettanto comprensibile, come dicevo, la reazione dei tifosi a Torino. L'affaire  Ghomsi, la sua cessione il giorno seguente, l'addio di Stellone che "al 99% è dei nostri almeno fino a gennaio", il suo approdo in quel Torino che tanto ha inciso sulle nostre sventure.. beh, come dire, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso (di bile)

Psicologicamente, questo è il momento più difficile.

Come quando cadi pesantemente, resti stordito per il colpo preso, ma ti rialzi, dici "niente, niente, grazie" a chi ti soccorre,  ti rimetti in moto, stringi i denti per tutto il giorno, ma quello seguente sei nero per i lividi e ogni minimo gesto ti arreca dolori lancinanti e insopportabili e lanci male parole anche a chi solamente ti sfiora.

Ecco, credo che noi siamo esattamente così, dolenti e intrattabili dopo una caduta inarrestabile e violenta durata tre lunghissimi mesi.

E allora? Che facciamo?

Credo occorra solo lavorare, lavorare e lavorare ancora, senza commettere altre ingenuità (scrivo ingenuità, ma penso belinate imperdonabili), in un silenzio da chiesa, senza altri proclami, arrighe o comunicati.

Ecco, credo che il silenzio, l'umiltà e il lavoro siano i soli rimedi per ripartire e riconquistare qualcosa: risultati e rispetto.

Saranno questi rimedi il Lasonil per i lividi dell'anima.

 

Il cuore della vignettista

Aglaja