Vergogna

di Cecco Angiolieri

Probabilmente la  mia è una riflessione da vecchio, e per la metà mi ci sento davvero, vecchio; per l’altra metà mi hanno fatto sentire così, anche se avevo il cuore da ragazzino, o forse – più semplicemente – avevo un cuore: mi hanno portato via anche quello, soprattutto quello.

In tutta sincerità non so di chi sia la colpa di questo crollo, che viene all’improvviso solo per chi ha orecchie che non sentono, per chi ha occhi che non vedono, e per chi non è Genoano.

Probabilmente, anzi, certamente, nessuno è innocente, anche se forse ci sono altri più colpevoli e altri meno: ma non è questo su cui oggi mi interessa riflettere.

Gli ultimi studi di etologia e antropologia attribuiscono l’evoluzione dell’uomo alla grande capacità di adattamento di questo primate, che pare - almeno a livello potenziale - non sia poi più intelligente di uno scimpanzè, di un delfino, o di un elefante, ma che rispetto a tutti gli altri animali ha adattabilità e una flessibilità eccezionali.

Insomma, siamo grandi perché sappiamo adattarci a tutto: se è così noi Genoani, più che uomini, probabilmente siamo angeli, ma questo è un altro discorso.

Il problema che adattandoci a tutto, abituandosi a tutto, abbiamo sviluppato una flessibilità tale che sicuramente ci avrà dato una competitività assoluta, ma che ci ha anche fatto perdere qualche qualità, come, ad esempio, il senso di vergogna.

Oggi la vergogna non usa più: avere la dignità di vergognarsi è considerata una virtù del tutto inutile e improduttiva, tanto che vi è da dubitare che possa parlarsi ancora di una virtù, o non piuttosto di una imbarazzante eredità di antiquati tempi.

Eppure una volta la dignità si misurava anche dalla vergogna che si provava quando un fallimento minava la stima e la fiducia che si godeva presso le persone che avevano affidato il compito o l’incarico che non si era riusciti a raggiungere.

Erano il probo e l’onesto a provare vergogna, non il delinquente incallito, perché,in realtà la vergogna altro non era che una ferita alla dignità, tanto più dolorosa e acuta quanto  grande era la virtù della persona colpita.

Forse concetti ormai sbiaditi nel tempo, forse ridicoli, certamente risibili per molti, per tutti, mi pare, nel mondo del calcio.

Eppure, eppure come mi piacerebbe sentire qualcuno che dice: “ho fallito, mi vergogno, chiedo scusa e mi dimetto.”

Come mi piacerebbe, come mi piacerebbe chiederglielo, guardandoli negli occhi, per capire se dietro si nasconde ancora un uomo o c’è solo la preoccupazione del prossimo contratto; ma, si sa, i sognatori, come gli ottimisti, sono sempre stati, per definizione, i grandi delusi.

 

 

 monumento al sentimento ignoto

 

Cecco Angiolieri