LA MORTE DI UN EROE

 

Sostiene Epicuro: "Quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo noi". Quindi la morte, per il filosofo, non può essere un male, perché..non esiste.

Eppure, questo intendere la fine dell’esistenza come un qualcosa di estraneo alla vita stessa, è un modo quasi di “tradire”, di “svuotare” l'esperienza della morte, perché la morte è centrale, funzionale proprio all’esistenza: l’attesa, il timore, la sfida ad essa permea la nostra vita, che lo vogliamo o no. Ma c'è un'altra dimensione dell'esperienza della morte, del nostro rapportarci ad essa: accade quando la fine è di un altro, di qualcuno che , per sentimento ed emozione, sentiamo a noi vicino.  Non è soltanto la consapevolezza del cambiamento senza ritorno (di per sé già difficilmente sostenibile), ma è il ritrovarsi a fare i conti con noi stessi, con la fine di una parte di noi.

Chi muore porta via con sè tutto quello che noi avremmo potuto fare ancora con lui, mette la parola fine a un comune percorso, le cui tappe ci martellano inesorabili nel cervello, in un caleidoscopio di ricordi, crudelmente belli, penosamente tristi. E preannuncia la sconfitta del nostro assurdo sogno di immortalità.

Capita, poi, che  la morte possa giungere al termine di lunghe sofferenze, di lotte crudeli contro qualcosa che istintivamente sentiamo ingiusto, immeritatamente punitivo: è un’esperienza che si può vivere con rabbia o con rassegnazione, nello spirito di un’eroica sconfitta o di una necessaria liberazione.

La crudeltà è parte stessa della vita, forse –mi si perdoni il pessimismo cosmico- ne è addirittura l’essenza. Nell’antichità, si era sviluppato il mito dell’eroe basato proprio sulla consapevolezza del dolore come momento centrale della vita. Penso ad Ulisse, quest’ uomo che da giocosamente astuto diviene profondamente saggio perché ha sofferto molto, è stato duramente messo alla prova, ha imparato a fare i conti con il dolore. Ulisse si trasforma in eroe solo quando affronta, “conosce”, fa suo il dolore.

E allora, l'eroe non è colui che ha avuto tutto dalla vita, non è il più intelligente, il più forte, il più temerario; è colui che si è cimentato con la sofferenza, che si è fatto carico del dolore, che ha sfidato la morte, e non importa se è stato sconfitto da essa.

 Gianluca Signorini è un eroe e oggi piangiamo la sua morte e la fine del percorso di emozioni, di speranze, di rabbia, di lotte che abbiamo fatto con lui, nei momenti più belli e più amari della sua vita.

 Ti possiamo lasciare solo parole, Capitano: ben altro è quello che tu lasci a noi.

 Filidh