Ottimismo

E’ vero, caro Cecco. La tentazione di mollare tutto e dedicarsi ad attività alternative negli ultimi anni l'abbiamo avuta sicuramente in tanti. Mio papà, Genoano fervente, negli anni settanta dopo essersi trovato attaccato alle griglie di marassi decise di smettere, così come si decide di smettere di fumare o di bere: si dedicò alla caccia. Non era facile girare per boschi con il transistor (così si chiamava allora la radiolina) attaccato all’orecchio, e allora tornò a marassi, finché poté farlo. Allo stesso modo anche io - lo ammetto - qualche volta ultimamente mi sono chiesto “cosa ci faccio qui”, e la risposta l’ho cercata in me stesso, guardando solo quella maglia e quelle gradinate di marassi, senza cercare di vedere che dietro a quello splendido panorama c’è ormai, nel calcio in genere, un mare di rumenta. Ce l’ho quasi sempre fatta, ma, in difetto, mi è venuto in soccorso il mio amico Severgnini: “Il Genoa (ovviamente lui parlava dell’Inter, ma la storia dice che le differenze non sono poi così evidenti: vedete un po’ voi se il tutto non calza a pennello….) è una forma di allenamento alla vita. E’ un esercizio di gestione dell’ansia e un corso di dolcissima malinconia. E’ un preliminare lungo anni. E’ un modo di ricordare che a un bel primo tempo può seguire un brutto secondo tempo. Ma ci sarà comunque un secondo tempo, e poi un’altra partita, e dopo l’ultima partita un nuovo campionato. Non possiamo perderli tutti. Oppure sì, se ci mettiamo d’impegno. Ma non accadrà, non siamo così prevedibili, nemmeno nel masochismo. Verrà il nostro momento, e sarà magnifico.”

Liaigh