Zdenek Zeman

intervista di Enzo d'Errico da Il corriere della sera del 28 ottobre 2004

 

 

Fu per un cielo senza nuvole.

E per quel mare blu come uno sguardo che non concede scampo.

Fu per le notti di un’estate siciliana, quando gli anni erano ancora lievi e i sogni avevano respiro, che Zdenek Zeman s’innamorò del Sud,  lasciandosi alle spalle l’ultima primavera della sua terra.

Quella del ’68, che vide i fiori sbocciati a Praga recisi dai cingoli dei carri armati.

 

 

Ne è passato di tempo da allora e il ragazzo boemo che s’incantò a guardare l’orizzonte sulla spiaggia di Mondello, oggi è l’allenatore più amato e discusso del nostro calcio, un uomo scomodo che ti sbatte sul muso l’acido di verità indigeste, un tipo cinico e romantico alla Philip Marlowe, capace di svelare gli intrighi del pallone ma anche di nascondere un sovrappiù di vanità nell’ostinata fedeltà alle proprieidee.

Uno straniero, insomma. Almeno sul manto erboso.

Perché fuori da lì Zeman è un meridionale qualunque. Per scelta o, forse, per vocazione.

Come dimostra la sua carriera, consumata in buona parte fra Sicilia, Puglia e Campania.

Ultimo approdo a Lecce, dove i successi raccolti in quest’avvio di campionato ne hanno rinverdito la fama.

«Lo ammetto: se posso, preferisco allenare una squadra del Sud - spiega con quella voce strascicata che non ha mai un sobbalzo -.

Qui, più che altrove, la passione sopravvive alla svendita dei sentimenti, all’ipocrisia di quel gran carosello industriale che è diventato il calcio e un po’ la nostra vita.

E se a volte si eccede, non importa: meglio un peccato d’entusiasmo che il purgatorio dei contabili».

Eppure in Zeman tutto sembra contraddire lo stereotipo del meridionale: aplomb, riservatezza, coerenza, tenacia...

Ma, alla fine, è proprio in questo intreccio di opposti che si cela l’anima profonda del Mezzogiorno italiano, un miscuglio di emozioni che il tecnico boemo illumina attraverso inquadrature inedite.

«Lo dicono in tanti ed è vero: il Sud non esiste. Esistono i Sud, regioni diverse l’una dall’altra cucite insieme da un comune sentire più che dalla storia.

A Napoli, per esempio, il frullatore della modernità non è mai riuscito a triturare l’orgoglio e la supponenza dell’antica capitale. E se questa per certi versi è una fortuna, dall’altra è una maledizione: si vive dimezzati fra un passato di splendori e un futuro d’incertezze.

I napoletani credono di aver inventato tutto loro, compreso il calcio.

E non s’accorgono che il calcio anche da quelle parti, ormai, è un’industria.

Purtroppo.

E io l’industria non la so fare. O, meglio, potrei pure farla, ma preferisco allenare.

Ecco perché, probabilmente, le mie avventure in Campania non hanno dato i risultati sperati: il successo immediato mal si concilia con la fatica quotidiana.

Troppo spesso, nel Mezzogiorno, pur d’inseguire il miraggio d’una facile vittoria, si cambia idea da un giorno all’altro, cedendo alle lusinghe del potente di turno. Io invece sono uno che domani dirà le stesse cose dette oggi».

A cominciare dal desiderio di offrire un’opportunità ai giovani, insegnando il valore del lavoro. «Cosa che nel calcio è sempre più difficile - aggiunge Zeman -. Adesso basta che un ragazzo imbrocchi quattro o cinque partite e viene esaltato come un campione: gli fanno balenare ingaggi d’oro, trasferimenti al Real Madrid e lui, fatalmente, si perde per strada...

Lo sport, al contrario, dovrebbe insegnare la meritocrazia, soprattutto qui dove spesso imperano altre logiche. In Puglia e Sicilia è ancora possibile provarci, perché i riflettori del circo sono più flebili».

La penombra, tuttavia, è pure il rifugio del crimine organizzato, che risucchia la vita di tanti giovani meridionali. «Non ho mai incontrato la mafia sul mio cammino, ma ovviamente ne ho sentito parlare. È un problema, comunque, che riguarda l’intero Paese: l’unica differenza è che nel Mezzogiorno gli hanno dato un nome, a Milano o a Torino ancora no».

Cosa resta allora di quel Sud che, 35 anni fa, le rapì lo sguardo? «La dignità della gente, senza dubbio.

Le cose, poi, non sono cambiate granché. Ed è meglio così. Io amo le tradizioni e credo che un popolo debba mantenere le proprie radici.

Da questo punto di vista, al di là degli eccessi, capisco perfino la battaglia politica della Lega.E, pur non seguendone le vicende, comprendo la lotta dei no global: in un mondo che rischia di diventare tutto uguale, il Sud resta un’isola felice.

Non so ancora per quanto. Vogliono, ad esempio, che la Turchia entri nell’Unione Europea: ma cosa c’entra la Turchia con l’Europa? Nulla, sono due storie diverse. Ho lavorato lì e posso dirlo, a differenza di chi pretende di omologare i popoli senza conoscerli».

E lei, in tutto questo tempo trascorso a sfidare i luoghi comuni sul Mezzogiorno, non s’è mai chiesto: cosa ci faccio qui? «Molte volte. Ma è questo lo sfizio...».

Che soltanto un meridionale può assaporare: vero, mister Zeman?