Ti ricordo cosi'  

di Aglaja

 Genoa, 3 ottobre 2005  

 E' morto in diretta, Franco Scoglio, da protagonista, nel bene e nel male, come  sempre. Ma il mio Professore, quello della mitica promozione in serie A, quello  del Popolo Genoano, delle grandi speranze e degli animi infiammati, quello delle  battute micidiali e al vetriolo, quello del calcio geniale e matematico, quello degli  eterni ritorni, forse era già andato via da molto tempo.

 Lo voglio ricordare, allora, nell'ultimo flash di grandezza della sua storia  genoana, con alcune pagine che scrissi tanti, troppi anni fa.

I fioretti di Frate Francesco da Lipari

(agiografia di Franco Scoglio scritta da Sorella Aglaja nell'anno di grazia 2001)

 

CAPITOLO PRIMO. Al nome del Nostro Grifone Glorioso. In questo libro si contengono certi fioretti miracoli ed esempi divoti del glorioso professore messer santo Francesco e d'alquanti suoi santi compagni. A laude del Grifone. Amen.

In prima è da considerare che 'l glorioso messere santo Francesco da Lipari in tutti gli atti della vita sua fu conforme al Grifone, che come provossi a discostarsene, indotto in tentazione dai demoni Ambizione & Danaro, divenne messer da Roccacannuccia o Roccapepa.
Santo Francesco elesse dal principio del fondamento dell'Ordine Grifoneo undici compagni possessori dell'altissima fiducia nel verbo di Santo Francesco, più una ridottissima panchina. Tutti que' santi compagni di santo Francesco da Lipari furono iuocatori di tanta abilità, che dal tempo dell'Uefa in qua il mondo rossoblù non ebbe così maravigliosi e santi uomini: ecco ch'alcuno di loro fu ratto infino all'area avversaria come Santo Pato, e questo fu frate Gabsi; alcuno di loro, come fra Francioso, fu toccato sulle gambe dalla sferza del Grifo e ritrovò il tocco punitivo di santo Branco; altri, come frate Malagò fu miracolato e trasformato in iuocatore vero, sibbene tentato da Monna Iuventute; altri, già defunti,
ritrovarono lo soffio vitale, frate Stroppa che s'intoppa fu di questi uno; alcuno volava per sottilità d'intelletto infino alla luce della sapienza come l'aquila, e questo fu frate Nicola, umilissimo, il quale seppe accettar la penitenza ed accettar le decisioni oscure di Santo Francesco, pronto a farsi ritrovar alla bisogna; e molti frati, infine, per tener dietro ai passi di santo Francesco, abbandonarono il loro nero continente e  seguirono lo santo nella città di Genoa. Ma tutti furono privilegiati di singolare segno di santità, siccome nel processo del Priore Biscardi si dichiara.

CAPITOLO SECONDO. Come messer Bellotto, quasi proverbiando, disse a santo Francesco da Lipari che a lui tutto il mondo andava dirieto e che non capiva; ed egli rispuose che ciò era a confusione del mondo e grazia del Grifo; e che non era colpa sua se non capiva.

Dimorando una volta santo Francesco nel luogo della Biscardea transmissione con frate Bellotto da Sampierdarena, uomo di grande umiltate, discrezione e grazia nell'affrontare le prove stracittadine, per la qual cosa santo Francesco molto l'amava, accadde che detto messer Bellotto volle provare sì
com'egli fusse umile, e fecieglisi incontra, e quasi proverbiando disse: "Perché a te, perché a te, perché a te?". Santo Francesco risponde: "Che è quello che tu vuoi dire?". Disse messer Bellotto: "Dico, perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d'udirti e d'ubbidirti? Tu non se' bello uomo del corpo, tu non se' di grande scienza, tu non se' nobile onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro? Per non contare il fatto che la media inglese non esiste!". Udendo questo santo Francesco, tutto rallegrato in ispirito, rizzando la faccia al cielo, per grande spazio istette colla mente levata, quasi
cercando nel Grifo ispirazione, e poi ritornando in sé, con grande fervore di spirito si rivolse a messer Bellotto e disse: "Vuoi sapere perché a me? Vuoi sapere perché a me tutto 'l mondo mi venga dietro? Perchè lo calcio est matematica e ora ti farò due schemini che ti illustrino le mie scientifiche visioni" e però a fare quell'operazione maravigliosa, la quale egli intendeva di fare, non trovò più incredula creatura sopra la terra e quando frate Francesco, al termine delle sue elucubrazioni gli si rivolse e chiese: "Ho spiegato tattica a livello elementare, così anche le umili creature del Signore hanno capito" e messer Bellotto  a così umile risposta, detta con fervore, sì si spaventò e conobbe certamente che santo Francesco era veramente fondato in umiltà, che osò rispondergli: "Io non ho capito" e lo santo Francesco chiosò: " E questa non è colpa mia"
E qui chiudo lo capitulo secondo

CAPITOLO TERZO. Come santo Francesco fece provare l'amaro calice della sconfitta per purificare dalla superbia i suoi frati

Santo Francesco istigato dallo zelo della fede del Grifo e dal desiderio del martirio, andò una volta nel profondo Sud italico con i suoi compagni santissimi, per portare anche lì la parola del Grifone. Essi giugnevano in quelle lande superbi dell'impresa appen compiuta. Erano infatti reduci da un incontro con certi Saracini di Sampierdarena, ove, come piacque al Grifo, codesti furono battuti dinanzi al loro vessillo strappato. Ma essendo santo Francesco ammaestrato dallo Spirito del Grifo, egli predicò sì divinamente
l'umiltà ai suoi fraticelli esaltati, che eziandio per essa fede decise di far saggiar loro il martirio. Santo Francesco concesse ai suoi frati la nuova esaltazione del vantaggio compiendo mirabilia : ascesa al cielo del
più massiccio di essi e miracolosa et inaudita segnatura volante. Ma la suberbia gravava su quei cuori e santo Francesco non impedì la giusta punizione: gli infedeli trovarono in sè medesimi la forza di ribaltar
funesta situazione. Di che la repentina sconfitta e cosentina fu per i seguaci del Grifo un segnale, per lo quale essi acquisirono la lezione di umiltà per il volere di santo Francesco e ripresero il cammino verso la santità, forti del nuovo ammaestramento.

 L’incantatore di anime perse

Oracolo di sé e del Grifone,
taumaturgo di accidie incancrenite,

è incantator, non di cobra o pitone,
ma di anime perse e  impallidite.

Acrobata di lessico azzardato,
calamboureggia parlando seriamente,

accende pur il cuor più sfiduciato
e il pavido ritorna assai veemente.

Ad minchiam va, latinorum rituale,
chiunque non comprenda il sacro verbo.

All'infedel sia risparmiato strale:
disgrazia è già l'esser nullo di nerbo!

E se il gioco di oggi è sol magia,
ieratica illusione, incantamento,

lasciate che sia pure quel che sia:
col mago inizia un nuovo salvamento.

Aglaja