Non ci sto  

di Cecco Angiolieri

Se dovessi scegliere tra tutte le porcherie che mi è toccato ingollare quest’estate nello psicodramma del mio Grifone, avrei indubbiamente una scelta di una vastità possente e sconfinata, ma ciò nonostante non avrei la minima esitazione a individuare nella recentissima intervista del sig. Carraro, che alludendo in modo velenosamente vago, e con un tenore che sta tra la minaccia e la lusinga a eventuali ripescaggi, segue un una linea di pensiero e di azione che rappresenta ad oggi lo stato dell’arte di quanto di peggio si possa concepire per uccidere in maniera irreversibile e definitiva nel calcio ogni traccia di sport, ogni parvenza di valori diversi dal business, persino ogni verosimiglianza di una recita, che ormai è così logora e consunta che gli attori si sono stancati di calcare la scena e sembra che si dimentichino persino di sostenere i loro ruoli.   

La condanna del Genoa - avvenuta con modalità e tempi che non sarebbero sembrati frutto del caso neppure a un santone indiano durante una riflessione sulla casualità dell’universo e della sua illusoria esistenza – non è stata solamente ingiusta.

E’ stata anche drammaticamente avvilente, perchè prima di essere giustiziati siamo stati messi alla gogna ed esposti al pubblico ludibrio senza che ci fosse concessa una pallida ombra di contraddittorio e di difesa.

La nostra condanna, molto prima che dalla cosiddetta giustizia sportiva, è stata scritta prima da inquirenti che sembravano usciti da un incubo di Kafka, poi da giornalisti che molto bene sanno quanto al pubblico piaccia assistere ai linciaggi.

Se si va vedere, in fondo, la commissione disciplinare e la Caf non hanno fatto altro che coprire il ruolo di diligenti e zelanti esecutori delle decisioni evidentemente già prese: per il Genoa non era necessario un processo, bastava una messa in scena, perchè il processo, quello vero, lo si fa prima di una condanna, non dopo.

E la condanna era così inesorabilmente già decisa, da esser considerato un atto dovuto dei giudici, e in questi frangenti è ben evidente che il processo è pura messa in scena, esercizio di ipocrisia per un finto rispetto nei confronti del condannato: ma quando al condannato non si concede neppure il minimo di rispetto, allora cessa persino l’ipocrisia, non si neppure la fatica di fingere e non si perde neppure tempo a cercare di dare a vedere ciò che non è: per questo motivo e non per altro che alla Caf durante il processo i giudici dormivano, e quando si sollevavano dal torpore era per scriversi bigliettini di dileggio nei confronti dell’imputato.

E la sanzione non ci è stata inflitta solo per punirci ma soprattutto per umiliarci: spesso i dettagli sono ben indicativi ed esplicativi di quanto accade: il significato vero della condanna non la trovi nella retrocessione dalla serie A alla serie C, la trovi in quei tre punti di penalizzazione da scontare due serie sotto a dove il campo ti aveva portato. In quei tre punti ci leggi un mondo: l’intenzione di umiliare, il patetico tentativo di apparire forte sino alla ferocia, la povertà morale che qualsiasi accanimento presuppone.

Eppure quasi come un paradosso, ma neanche troppo, l’eroismo di quindicimila abbonati che non solo non abbandonano, ma anzi continuano a sottoscrivere abbonamenti anche quando la condanna è certa e irreversibile, non solo rende al Grifone un orgoglio centuplicato ed una dignità assolutamente incorrotta ed intatta, ma sembra quasi creare un crescente imbarazzo negli aguzzini, la cui meschinità e pochezza viene inesorabilmente risaltata dalla dignità del perseguitato.

E non lo considero certo un caso che oggi si parli, o meglio si faccia intendere, che la condanna potrebbe non essere così dura, così definitiva, si insinui che un domani... non si sa mai, non si può prevedere, e si consideri poi l’ipotesi dei ripescaggi “discrezionali”.

Il Genoa è stato condannato ingiustamente, provocando enorme dolore, sbigottito sconcerto e grande sofferenza in centinaia di migliaia di persone che avevano l’unica colpa di avere una tradizione, una identità, un amore, perchè il Grifo è tutto questo e di più e molto di più ancora.

Ma tutti quanti abbiamo sofferto, stretto denti e mascelle, mentre spersi al comunale di Torino sentivamo leggere la formazione del Pizzighettone, o al ritorno dell’esodo a Ravenna ci dicevamo che avevamo perso a tavolino per tre a zero, e mentre persino scoppiavamo di gioia per aver segnato contro la Fermana, abbiamo sopportato tutto questo perchè tutti noi, ciascuno di noi, è intimamente convinto che in qualche modo la verità verrà a galla e che questo assurdo sistema prima o poi crollerà, e l’idea che magari il nostro caso, un domani, potrà essere risultato l’inizio della fine è un sogno forse ancora più grande di quello di cui ci hanno derubato.

 Cecco Angiolieri