Io resto (da solo ?) al Ferraris

Ho tanti difetti, lo ammetto. Fra questi quello di essere tradizionalista. Sì, va bene, lo ammetto: nel calcio non sono conservatore ma reazionario. Sono per le maglie dall’1 all’11, per le bandiere (sempre grato a Torrente, Marco Rossi, Stellini, Onofri e tanti altri), per le partite – tutte – solo alla domenica alle 14,30, non spalmate dal venerdì al lunedì, o alla domenica dalle 12,30 alle 23. Lo so, sono fuori dai tempi, ma per me il calcio è ancora poesia, non business.

Eppure mi rendo conto della realtà che mi circonda: se l’Inter fatica a trattenere Ibrahimovic, se il Milan lotta per confermare Kakà, se la Juve moggiana non riesce a far restare Zidane, capisco che il Genoa non possa tenere Thiago Motta e Milito, anche se il ritorno del Principe – dopo la rovente estate del 2005 – aveva un alto valore simbolico. Per ora la squadra si indebolisce anche se dovrà vedersela su tre fronti, compreso il palcoscenico europeo, però la società si é guadagnata un credito negli anni, e in particolare la scorsa stagione quando seppe rafforzare l’organico pur rinunciando a Borriello e Konko.

Nessuno scandalo dunque, pur nel dispiacere, se partono due campioni. Quello che personalmente mi preoccupa sono le nuove ipotesi che si sono affacciate per il Ferraris: o si spostano le carceri, o si fa un nuovo stadio altrove in società con un club ciclistico (immagino con annesso velodromo). Orbene, non sono contrario a un nuovo stadio a Genova: penso che come all’estero, ogni società dovrebbe avere il proprio stadio di proprietà. Però il Ferraris fa parte della storia del Genoa, e non posso pensare che venga abbandonato. Lo stadio sorge in un’area che il socio Musso Piantelli regalò al Grifone per farne la propria casa quando in zona non c’erano palazzi ma orti; prima della municipalizzazione forzata, è stato per decenni lo stadio di proprietà del Genoa. E’ la nostra – o solo la mia? – casa, e non voglio lasciarla, anche se sull’altare del dio business c’è chi ha sacrificato persino Highbury per un nuovo impianto con il nome di una compagnia aerea.

Certo, il sogno sarebbe che il Genoa si ricomprasse il proprio stadio, ma so che economicamente sarebbe un’operazione insostenibile. Però ritengo che pagando una locazione come oggi, la società abbia il dovere morale di rispettare le proprie tradizioni e non lasciare quell’area.

Per il Ferraris sono state fatte catene umane, raccolte firme; la Fondazione ha fatto una campagna importante a sua difesa, e la stessa società in passato aveva promesso che non si sarebbe mai mossa da lì. Oggi sento invece odore di dietrofront, perché c’è comprensibilmente gratitudine per chi rappresenta la società e si vuole evitare divisioni proprio sul più bello. Lo capisco, e da un certo punto di vista lo condivido pure; però non mi va di portare il cervello all’ammasso o seguire pifferai magici: presidenti, allenatori e giocatori – purtroppo ce ne siamo accorti da tempo – vanno e vengono; ciò che resta è il Genoa e i suoi tifosi. Con il loro stadio. Questo non me lo toglierà dalla testa nessuno.

Su questa battaglia magari resterò solo. Ma vorrà dire che quando il mio Genoa giocherà all’Erg Stadium di Sestri Ponente, io me ne andrò al Ferraris a fare il tifo dalla Nord – unica belina – sentendo la partita alla radio come quando le maglie andavano dall’1 all’11 e si giocava tutti alla domenica alle 14,30.

 

 Genoa, 21 Maggio 2009

Guigneberth