Un Bambino al Megafono !


 

In un bruttissimo film di Nicholas Roeg del 1976, David Bowie interpretava L'Uomo che cadde sulla Terra.

Trenta anni e trenta chili dopo, confesso di sentirmi sempre più spesso anche io adatto a quella parte.

Le reazioni mediatiche e collettive agli strazianti fatti di Catania mi fanno sentire ancora una volta fuori posto, fuori sincrono, fuori.

Innanzitutto, bisogna prendere atto del fatto che c'era qualcuno che ancora non si era accorto che lo stadio è un posto che gode del privilegio della extraterritorialità, come le sedi diplomatiche. Allo stadio ci si può insultare, minacciare, e, anche, scazzottare, dedicare a danneggiamenti e devastazioni, contando su un sostanziale alone di tolleranza.

Se devo dirla tutta, non è che questa cosa mi stupisca più di tanto: la storia è piena di ghetti, di circhi con leoni e gladiatori, carnevali, riti pagani e ortodossi. Quello che è agghiacciante è come sempre di più si perda la distinzione tra la violenza ritualizzata (la finzione della violenza, che serve a sfogare l'aggressività in modo inoffensivo), che è, checché ne dicano i pensatori politicamente corretti di oggi, una cosa sana, e la violenza vera. Che ci sia sempre più gente che confonde stolidamente le due cose, o inneggiando alla seconda (ponendo le premesse a una società di mostri) o demonizzando anche la prima, in nome di un'illusione angelica e perniciosissima dell'animo umano. Ognuno di noi ogni tanto ha bisogno di sfogarsi: l'importante è che lo si faccia in modo simbolico e senza recar danno a nessuno: negare questa cosa significa non solo negare la realtà, ma porre le premesse di alienazione e nevrosi i cui risultati sono sotto i nostri occhi tutti i giorni, basta rimanere in coda nel traffico qualche minuto.

Anche tra le reazioni ai fatti sanguinari di Catania ce ne sono parecchie che risultano quantomeno bizzarre.

Scegliendo fior da fiore, una delle più diffuse è quella che attribuisce sostanzialmente la responsabilità dei fatti alle condizioni degli stadi. Che è come dire che, visto che Giulio Cesare fu ucciso nel teatro di Pompeo, questo doveva essere immediatamente ristrutturato (a proposito, quel teatro fu effettivamente ristrutturato poco dopo da Augusto, non si sa se con fondi Uefa o di imprenditori privati).

In alternativa, si dice che d'ora in poi si giocherà per un po' a porte chiuse. Che è come dire che, visto che a volte qualcuno resta accoltellato, d'ora in poi la carne si taglia con ai grissini, oppure che, visto che nelle Stazioni Ferroviarie fiorisce lo spaccio di droga, ora a Busalla si va tutti in aereo.

Particolarmente gettonato, nell'Italia sempre esterofila, è il mantra salvifico del ricorso al modello inglese. Dopo il processo all'americana, siamo insomma esposti al rischio di un'altra vaga e inafferrabile mitologia.

Molte vicende italiane (dalla lotta all'evasione fiscale al contrasto della criminalità) mi evocano sempre più spesso l'immagine di quella domestica che, non avendo voglia di portare fuori la spazzatura, la nascondeva nel ripostiglio.

Poi finisce che la porta del ripostiglio cede e la rumenta ti travolge, come a Catania.

Sarebbe forse più bello che si cercassero di capire le cause dei fenomeni.

E che si prendesse atto che, come dice Italo Calvino (1), il modo migliore per lottare contro il male è fare spazio e luce intorno al Bene.

A Genova avremmo pronta la soluzione (rilancio una mia vecchia idea, sarà irrealistica, ma anche la ruota lo era prima di essere inventata): al centro della gradinata nord si posizioni il Genoa Club for Children e il megafono vada in mano a uno di quei meravigliosi bambini.

Sono queste le notizie che dovrebbero leggersi sui giornali.

 

 

 

 

Principe Myskin

 

 

Genoa, 5 febbraio 2007

 

(1) L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo Tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio.

Italo Calvino - 1972

 

 

Vuoi leggere la puntata precedente ?