Da "Alba tragica" un racconto nella raccolta "Tutti i denti del mostro sono perfetti",
di Nicolò Ammaniti.
(a proposito di un personaggio che frequenta i parchi di Villa Borghese in cerca di coppiette da spiare)
"Ma che ore saranno ?! E che fresco fa."
Marcello Beretta se ne stava buttato, mezzo assiderato dal freddo, su una panchina di Villa Borghese. Continuava a guardarsi il polso sperando che per magia si materializzasse un orologio.
Era ubriaco.
Parlava da solo.
Erano le tre meno venti di notte. E la temperature era di qualche grado appena sopra lo zero.
Marcello non era più un giovanotto e tutto quel gelo che gli si infiltrava nelle ossa non gli faceva bene.
Era grasso (il diabete mellito). Con una pancia tonda e gonfia che sembrava che si fosse ingoiato un pallone da basket. In testa gli cresceva un cespo intricato di capelli bianchi e stopposi. Macchie di barba nascondevano i danni dell'acne giovanile. Sotto la narice destra gli cresceva un neo nero, bitorzoluto e peloso che se lo avesse visto un oncologo si sarebbe messo a urlare.. Il nasone, storto per una pallonata presa in faccia da ragazzino, sembrava una patata lessa. E aveva due occhi piccoli, gialli e macchiati di sangue.
Quella sera poi sfoggiava un loden lercio e con la fodera scucita, un golf a collo alto arancione, i pantaloni di una tuta da ginnastica e un paio di mocassini sformati. Ah, per finire, annodata intorno al collo, una sciarpa della Sampdoria.