11/1/1999

11/1/2009

In occasione del decimo anniversario, riportiamo qui alcuni dei pezzi che I Druidi hanno dedicato a Fabrizio de André negli anni

 

a cura di Aglaja

A sei anni dalla sua morte, Fabrizio De Andrè è sempre ben vivo nei cuori dei suoi compagni di fede rossoblu, oltre che nella memoria e nell'affetto dei tanti suoi ammiratori.

Tutto e di più è già stato detto sulla sua poesia in musica, sulla sua sensibilità umana e sul suo impegno civile.

I Druidi vogliono qui ricordarlo come genoano, riproponendo un noto brano di Marco Peschiera, che rievoca l'iniziazione del bimbo Fabrizio al mistero grifoneo, e pubblicando un' intervista del 1966 di Ennio Crevacuore al giovane cantautore ai suoi primi successi, che promette una canzone d'amore per il suo Genoa.

Marco Peschiera

Prefazione
a

Quelli che il Grifone - di Fabrizio Calzia

Fabrizio De André raccontava di essersi innamorato del Genoa a sette anni,
un pomeriggio del 1947 quando suo padre Giuseppe lo portò a Marassi a vedere
il Grande Torino di cui era acceso tifoso. Una partita senza storia: i
Mazzola, i Gabetto, i Grezar, i Loik a mostrare meraviglie e i Grifoni
frastornati e rassegnati. Un gol all'inizio del primo tempo, un altro alla
ripresa, il terzo alla mezzora. Con De André padre ad applaudire felice.
Ma all'ottantacinquesimo il Genoa si scuote dal suo torpore: tre a uno e
tutti all'assalto, un calcio di rigore ed ecco il tre a due, un altro fiero
arrembaggio e la folla comincia a sperare, nell'ultimo minuto si libra sul
campo il gran sabba della volontà e in extremis soltanto un palo salva il
Toro dalla clamorosa rimonta. Il Genoa perde quella partita ma in cinque
minuti conquista un tifoso per la vita.
Fabrizio restò per sempre dalla parte dei vinti di tutto il mondo: ma nelle
sue poesie in musica gli sconfitti e gli esclusi - puttane e indiani
perseguitati, malfattori e spiriti ribelli - trovano sempre la rivincita
morale sul bigotto e il moralista, sul potente e sui suoi servi corrotti.
Lo stato d'animo del genoano è quello degli spiriti ribelli di De André:
lasciamoli godere, tutti gli altri, delle loro vittorie. E osserviamoli con
comprensione le volte che la sorte gli diventa avversa. Ridano pure o
piangano pure intorno alle piccole vicende di un pallone che rotola. Noi li
guardiamo dall'alto e con distacco perché potranno vincere una partita o
venticinque o mille ma hanno perso il campionato più importante: loro, il
destino li ha condannati a vivere senza nemmeno immaginare che cosa
significa essere genoani.
È questo ancestrale, filosofico istinto di superiorità a fare del genoano un
esemplare unico: il genoano è l'unico seguace del calcio dotato della
capacità di ridere e scherzare su se stesso. Diciamoci la verità: in quale
parte del globo terracqueo si potrebbe riuscire a trovare un'intera
generazione di tifosi in grado di sciorinare, a trent'anni di distanza e
senza un fiato di pausa, la formazione di un campionato di serie c? La
ricordiamo a chi non c'era: Lonardi; Rossetti, Ferrari; Derlin, Benini;
Turone; Perotti, Maselli, Cini, Bittolo, Speggiorin. Rileggere e mandare a
memoria: è la preghiera laica del genoano vero.



dal Sito della Fondazione Fabrizio De Andrè

http://www.fondazionedeandre.it

Un'intervista di Ennio Crevacuore a Fabrizio De Andrè

da GENOVA NOTTE 6/3/1966