Quando Robin Hood sbaglia il bersaglio

Guardata con occhi neutri la partita di Mantova non è stata che l’ennesima conferma che nel calcio chi sbaglia molto e ripetutamente, alla fine viene punito, spesso al di là dei suoi demeriti, e che non esistono le vittorie conquistate ai punti come nel pugilato.

Guardata con i nostri occhi questa partita appare come una mostruosa conferma che la maledizione di Montezuma esiste davvero, e che per poter razionalizzare una sconfitta come questa ci vuole più fantasia dell’incantevole  Shahrazàd  in “Mille e una notte”.

Invero avrei qualche idea sul perchè di questo rocambolesco risultato, ma al momento me lo tengo gelosamente per me, perchè l’esternarlo potrebbe far perdere di vista alcune circostanze che sono di basilare importanza e che qualcuno sembra invece aver completamente dimenticato: a incominciare dal lavoro fatto dalla società, quest’anno davvero impeccabile, e dal gruppo che si è formato all’interno dello spogliatoio, davvero unito e solidalmente compattissimo.

Qualche nota critica , però, bisogna considerarla, non certo per spirito gratuitamente  polemico, ma perchè è emerso qualche elemento negativo che siamo ancora in tempo a correggere.

E prendo spunto da una inquadratura televisiva del campo di gioco dopo un secondo dal fischio finale dell’arbitro.

C’era scoramento, è ovvio - ci mancherebbe che non ci fosse stato - e la cosa deve considerarsi assolutamente fisiologica, ma di  scoramenti ce ne sono di molti tipi e di svariata natura: questo era dei peggiori, era senza rabbia, e con tanta rassegnazione in sua vece ma soprattutto – e qui sta il fattore decisivo, e la chiave di lettura – era lo scoramento di chi ha perso il suo obbiettivo definitivamente e irrimediabilmente, era lo scoramento, tanto per fare un esempio, che prende chi ha perso una finale, non di chi perde una partita che, per quanto importante, non  decide nulla e non determina niente.

A mio avviso c’è stato un terribile equivoco di fondo, per cui tutte le energie sono state puntate su questa partita, che certamente era importante, ma non avrebbe mai dovuto simboleggiare una sorta di ultima spiaggia, o, peggio, di una terribile scogliera da cui o si prende il volo o ci si sfracella.

Le lacrime di Di Vaio, in questo senso, sono da una parte eloquente testimonianza della passione del giocatore, ma dall’altra sono davvero preoccupanti, si piange dopo la sconfitta in una battaglia, ma non mentre si combatte ancora, e non quando la battaglia non è per nulla finita.

Vorrei che tutti ricordassimo che se contro il Napoli andasse male e non riuscissimo a vincere, non potremo prendere mestamente le nostre cose e andare al mare,  ma ci sarebbero da disputare ancora i playoff, che certamente non saranno una passeggiata, ma che sono da disputare con squadre a cui abbiamo dato  quasi una decina di punti.

La verità è che si è completamente sbagliato il bersaglio, non era questa la partita della vita, non era questa la partita da vincere a tutti i costi e soprattutto non era questa la partita su cui concentrare tutte le nostre energie, specie quelle nervose: e su questo punto certo i media locali non ci hanno certo aiutato.

La partita di Domenica prossima potrebbe rappresentare una svolta decisiva e definitiva, ma potrebbe anche essere un prologo ai playoff.

Avere l’umiltà e l’intelligenza di comprendere il concetto non solo razionalmente ma anche emotivamente da parte di tutti, sarebbe cosa importantissima, quasi quanto quella di ricordare che quello che hanno fatto squadra e società è già adesso qualcosa di grande e importante.

 

Cecco Angiolieri.