Una Domenica al Righi

di Cecco Angiolieri

 

 

Come in un sogno immaginavo le curve e le percorrevo tutte, ad una ad una, da Piazza Manin sino al Castello, e poi su, per quella salita che avrebbe stroncato anche Bartali, sino al Righi, e sulla destra, con la coda dell'occhio vedevo ancora quel muretto di pietra grigia, dove si sporgevano le teste e si appendevano le speranze, dove dove il vento ti riempiva le orecchie della sua schiuma, ma non impediva al boato della Nord, della "vera" nord di giungerti distinto, ancora ricolmo di fede e di rabbia.

Una nord fatta di cuori aggrappati a quelle sbarre azzurre, ma anche di visi sporti da quel muretto grigio, tesi a guardare, e il cuore a vedere quello che gli occhi non possono vedere: perchè le immagini correvano anche attraverso i pensieri, come ora corrono attraverso il ricordo.

Oggi non c'è più nessuno lungo quel muretto, non si può più vedere il campo da lì, e, chissà perchè, non mi sembra un caso.

Non c'è più posto per chi non sia spettatore pagante, possibilmente abbonato telepiù e monitorato l'auditel, ma soprattutto non c'è più posto per chi, come quei volti assiepati dietro quel muretto, in un pallone color cuoio che rotola sul verde dell'erba vuole ancora inseguire un sogno, vuole sentire una tradizione, vuole dare un significato ben diverso da quello che vogliono dargli gli zombi, con le cambiali al posto della coscienza.

Ora c'è solo posto per la mia memoria, e non so per quanto tempo ancora: con il loro mondo alieno fatto di soldi e ipocrisia mi renderanno così lontani quei tempi, da farmi quasi dimenticare il ricordo.

Eppure a cavallo di quel muretto grigio, in quelle domeniche d'inverno, di pallido sole e di vento cattivo, tanta gente aveva posato il corpo, ma la loro anima era volata giù, l'anima di tutti era cinquecento metri più in basso, o forse la partita, quella più vera, si giocava lì, al lato della strada, a ridosso di quel muretto, battuto dal vento e circondato dalle passioni.

Cecco Angiolieri